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L’indagine civica, condotta da Cittadinanzattiva, esplora proprio questo: il livello di consapevolezza dei cittadini, l’accesso alle cure, le buone pratiche e le criticità che ancora caratterizzano la presa in carico dei pazienti affetti da tumore alla prostata. I risultati offrono una fotografia precisa – e per certi versi sorprendente – dello stato dell’arte nella salute oncologica maschile in Italia.
Prevenzione: c’è consapevolezza, ma manca un vero programma di screening
Uno dei dati più incoraggianti emersi riguarda il livello di consapevolezza dei cittadini: il 97,8% degli intervistati riconosce l’importanza di uno stile di vita sano nella prevenzione oncologica, e l’87% è consapevole del primato del tumore alla prostata tra le neoplasie maschili. Tuttavia, ad oggi, nel nostro Paese non esiste un programma di screening pubblico dedicato alla prevenzione di questa specifica patologia.
La maggior parte delle informazioni sulla prevenzione proviene da fonti frammentate: medico di base (25,4%), urologo (18,1%), internet (23,9%) e campagne di sensibilizzazione (21,7%). Il dato sottolinea la necessità di un’azione più sistemica, coordinata a livello nazionale, per diffondere una cultura della prevenzione e promuovere controlli regolari, specialmente nella fascia d’età 50-69 anni, dove si concentra l’84,5% delle diagnosi.
Il ruolo chiave dell’urologo… ma serve più multidisciplinarietà
Il primo specialista coinvolto nel percorso diagnostico è, nella maggioranza dei casi (53,4%), l’urologo. Questo dato è coerente con quanto riportato dai pazienti: l’inizio del percorso avviene in genere su iniziativa del medico di base o in seguito a controlli specialistici per altri motivi, e la diagnosi viene spesso formulata dopo esami come il test del PSA (72,4%), la biopsia prostatica o la risonanza magnetica multiparametrica.
Nonostante il valore della figura dell’urologo, emerge una debolezza sistemica: la scarsa presenza di team multidisciplinari nelle fasi diagnostiche e terapeutiche. Solo il 15,5% dei pazienti riferisce di essere stato preso in carico da un’équipe integrata. Eppure, l’approccio multidisciplinare – come dimostrano le esperienze delle Breast Unit – è oggi uno standard raccomandato per garantire cure personalizzate, minimizzare gli effetti collaterali e accompagnare il paziente lungo tutto il percorso.
Tempi di attesa: luci e ombre
Il tempo medio che intercorre tra la diagnosi e la presa in carico è inferiore a un mese per l’86% delle strutture monitorate, un dato senza dubbio positivo. Anche dal punto di vista dei pazienti, circa un terzo riceve la diagnosi entro un mese, mentre il 34,5% viene preso in carico entro 15 giorni. Tuttavia, oltre il 50% riferisce tempi più lunghi per ottenere la diagnosi definitiva, segnalando un rallentamento potenzialmente legato alle liste d’attesa, che spinge alcuni a rivolgersi al privato convenzionato (25%).
Inoltre, esami come la biopsia prostatica, la PET-PSMA o la risonanza multiparametrica richiedono ancora tempi lunghi di erogazione, aggravando l’ansia dei pazienti e ritardando l’accesso alle cure.
Cure e terapie: una risposta efficace, ma non sempre omogenea
Il percorso terapeutico risulta in linea con le esigenze della maggior parte dei pazienti. L’81% afferma di aver ricevuto una presa in carico coerente e puntuale, e il 90% ha potuto discutere con il medico le opzioni terapeutiche disponibili. Tuttavia, solo il 66,7% delle strutture dispone di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) dedicato, e appena il 10,3% dei pazienti dichiara di esserne stato formalmente inserito.
Le terapie più adottate sono l’ormonoterapia (94,7%), la chirurgia (93%), la radioterapia (86%) e la sorveglianza attiva (89,5%). Quest’ultima merita una menzione speciale: rappresenta una strategia essenziale per i tumori a basso rischio, permettendo di evitare trattamenti invasivi e riducendo gli effetti collaterali, ma dovrebbe essere maggiormente promossa come opzione terapeutica primaria nei casi indicati.
Effetti collaterali e supporto: il tallone d’Achille
Se da un lato i pazienti si dichiarano generalmente soddisfatti del trattamento ricevuto, dall’altro lato emerge un dato allarmante: il 65,5% ha sperimentato effetti collaterali significativi, in particolare disfunzioni sessuali (90,7%), problemi urinari (48,8%), ansia (37,2%) e depressione (27,9%). Solo il 60,5% ha ricevuto un supporto adeguato per gestire questi effetti, e appena il 27,6% ha potuto accedere a un servizio psicologico.
Ancora più critico è il dato sulla riabilitazione: solo il 24,1% degli intervistati dichiara di aver ricevuto servizi riabilitativi dalla struttura che li ha presi in carico. Questo conferma che l’approccio bio-psico-sociale alla salute resta, nei fatti, ancora parziale e disomogeneo.
Le Prostate Cancer Unit: una buona idea, ancora poco diffusa
Solo una minima parte dei pazienti dichiara di essere stato seguito da una Prostate Cancer Unit (PCU), ovvero un team interdisciplinare dedicato alla presa in carico globale del paziente. Eppure, oltre l’80% delle strutture ospedaliere rispondenti all’indagine afferma di avere attivo un gruppo multidisciplinare o una PCU. Il problema sembra quindi essere nella comunicazione e nella consapevolezza da parte dei pazienti: la presa in carico avviene, ma non sempre in modo trasparente e partecipato.
Il modello della PCU, ispirato alle Breast Unit per il tumore alla mammella, rappresenta uno standard di cura che valorizza la multidisciplinarietà e il coordinamento tra professionisti. La sua diffusione capillare, unita all’attivazione di PDTA strutturati e all’empowerment del paziente, può rappresentare un punto di svolta per l’oncologia maschile.
Le Regioni: differenze che fanno la differenza
Otto Regioni hanno risposto al questionario dell’indagine, e in quasi tutti i casi emerge un impegno crescente nel costruire percorsi strutturati per la gestione del tumore alla prostata. Tuttavia, non mancano le disparità: non tutte le Regioni hanno attivato Prostate Cancer Unit, alcune non hanno ancora formalizzato un PDTA, e solo in poche è disponibile online l’elenco delle strutture specializzate.
Il dialogo tra Regioni e strutture sanitarie appare però in miglioramento. Oltre il 77% delle strutture invia informazioni sui servizi alla Regione per orientare la programmazione oncologica e supportare i cittadini. Un segnale positivo, che va consolidato attraverso una governance più forte a livello nazionale.
Conclusione: verso una medicina personalizzata, equa e partecipata
L’indagine di Cittadinanzattiva ci offre uno sguardo prezioso su luci e ombre dell’oncologia maschile in Italia. Se da un lato emerge una buona consapevolezza dei cittadini e un accesso relativamente tempestivo alle cure, dall’altro restano aperte questioni cruciali: l’uniformità dei percorsi, la presenza effettiva dei team multidisciplinari, l’informazione e il supporto post-terapia.
Il tumore alla prostata è oggi una patologia che può essere affrontata con successo, ma servono strumenti adeguati: un programma nazionale di prevenzione, una reale implementazione dei PDTA, un’adeguata assistenza psicologica e riabilitativa, e un deciso investimento nell’organizzazione delle Prostate Cancer Unit.
In definitiva, è il momento di superare le disuguaglianze e mettere davvero al centro il paziente, in tutte le fasi della sua esperienza: dalla diagnosi alla terapia, fino al follow-up e alla qualità della vita.
Referenze
Salute maschile: indagine civica sul tumore alla prostata, 16 Giugno 2024 https://www.cittadinanzattiva.it/progetti/16156-salute-oncologica-maschile-indagine-civica-sul-tumore-alla-prostata.html
Europa Donna: Manuale Breast Unit https://europadonna.it/wp-content/uploads/2023/10/Manuale-Breast-Unit-2020.pdf
Fondazione IRCCS - Istituto Nazionale dei Tumori: modello organizzativo per la gestione multidisciplinare dei pazienti con diagnosi di cancro della prostata https://www.istitutotumori.mi.it/prostate-cancer-unit
Farmacogenetica, quando i geni determinano la risposta ai farmaci, https://www.osservatoriomalattierare.it/news/ricerca-scientifica/21546-farmacogenetica-quando-i-geni-determinano-la-risposta-ai-farmaci